domenica 6 novembre 2016

“FUORI MODA” – la posta di Alessandro Gnocchi

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Venerdì 4 novembre 2016
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È pervenuta in Redazione:
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Gentilissimo dottor Gnocchi,
probabilmente la mia lettera è una fra le tante che commentano e chiedono un suo parere sul viaggio di Bergoglio in Svezia per festeggiare i 500 anni della rivoluzione luterana. È vero che questo viaggio è stato un po’ oscurato dal terremoto che ha sconvolto l’Italia, ma i suoi danni li ha fatti lo stesso. Che cosa ne dice? Mi chiedo anche quanto ci si possa fidare ancora di una persona che sta svendendo quel poco che rimane di cattolico in questa Chiesa.
Grazie per l’attenzione
Giovanni Bottino
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zrbrpsCaro Bottino,
guardi la fotografia scattata nella cattedrale luterana di Lund e risponda a questa domanda: lei, da buon cattolico, firmerebbe un accordo sottoscritto da quest’uomo? Un’immagine e un quesito in cui sono contenute tutte le risposte a chi si interroga su quelli che, in cronaca nera, si chiamerebbero i “tragici fatti di Lund”. Perché solo alla cronaca nera può essere ascritto un avvenimento in cui si pugnala il Corpo Mistico di Cristo, si depredano i cristiani della fede per uccidere le anime alla Grazia.
Una nuova fede, una nuova liturgia, una nuova dottrina, una nuova morale che cosa sono, caro Bottino, se non la manifestazione di una nuova religione e di una nuova chiesa? Non c’è più nulla neppure di vagamente cristianeggiante in quanto si è palesato all’inaugurazione dei festeggiamenti luterani. E siamo solo al principio. Lassù in Svezia è andato in scena l’happening di un manipolo di adoratori dell’uomo che, per il momento, ritengono di doversi ancora mascherare dietro qualche salamelecco elevato a un’entità similspirituale senza forma e senza senso. Così senza forma e senza senso che, al momento opportuno, verrà tolta di mezzo.
Caro Bottino, firmerebbe un accordo sottoscritto da quest’uomo? Chi gli dà ancora un minimo di credito, illudendosi che possa in qualche modo fare il bene della Chiesa mostrando “amicizia per la Tradizione” dovrebbe meditare su questa immagine. Dovrebbe figurarsi seduto a quel tavolino, vedersi parato con quelle vesti e considerare che quella è la nuova liturgia della nuova chiesa che ormai occupa quasi tutti gli spazi visibili della Chiesa Santa, Cattolica e Apostolica.
Questo, caro Bottino, è il mio pensiero sui tragici fatti di Lund, che scrivo senza virgolette perché sono a tutti gli effetti cronaca nera dell’anima. Evito di commentare discorsi, interventi e chiacchiere di alta e bassa quota. Mi limito a considerare questo passo della Dichiarazione congiunta sottoscritta da Bergoglio e dal dottor Munib A. Younan, presidente della federazione luterana mondiale: “Molti membri delle nostre comunità aspirano a ricevere l’Eucaristia ad un’unica mensa, come concreta espressione della piena unità. Facciamo esperienza del dolore di quanti condividono tutta la loro vita, ma non possono condividere la presenza redentrice di Dio alla mensa eucaristica. Riconosciamo la nostra comune responsabilità pastorale di rispondere alla sete e alla fame spirituali del nostro popolo di essere uno in Cristo. Desideriamo ardentemente che questa ferita nel Corpo di Cristo sia sanata. Questo è l’obiettivo dei nostri sforzi ecumenici, che vogliamo far progredire, anche rinnovando il nostro impegno per il dialogo teologico”.
Traduco a beneficio di chi continua ad applicare la propria cieca buona volontà alla lettera di frasi che hanno invece la loro interpretazione autentica nella mente e nelle azioni di colui che le ha concepite. Quanto abbiamo appena letto ascrive a un cattolico il legittimo desiderio di ricevere un’ostia che non è Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Cristo, “consacrata” da un sacerdote che non è sacerdote, a sua volta “ordinato” da un vescovo che non è vescovo all’interno di una “chiesa” che non è chiesa. Si ascrive dunque a un cattolico il legittimo desiderio di non essere più cattolico e si indica questo desiderio apostatico come meta per tutto il “popolo di Dio”.
Il corollario di tutto questo consiste nel fatto che il luterano è legittimato nel trattare come semplice pane l’ostia divenuta realmente Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Cristo, nel ridurre un sacerdote a un temporaneo facente funzione, nel considerare un vescovo un funzionario di alto rango e nel collocare la Chiesa cattolica all’interno di una federazione mondiale di cultori dell’uomo e del suo spirito.
D’altra parte, caro Bottino, bisogna riconoscere che quasi tutto quanto è visibile nella Chiesa di oggi rende superato lo sforzo dei luterani. Una realtà così evidente, a dispetto di chi non vuol sentir parlare di “intercomunione”, che i luterani finlandesi in udienza dal papa lo scorso 20 gennaio in Vaticano si sono comunicati senza alcun problema durante la messa. D’altra parte, a forza di narrare la stessa formula di consacrazione, cena luterana e messa riformata finiscono per essere intese come la stessa cosa e, quindi, per avere gli stessi effetti.
zlnddfLa neochiesa si è ormai insediata come un tumore maligno nella vera Chiesa e la sta paralizzando progressivamente. Si sta mostrando per quello che è realmente, una chiesa atea fatta di atei che pascolano altri atei. Sono questi stessi pastori anime morte a dirlo senza più alcun pudore. In un’intervista al Corriere della Sera del 14 ottobre, celebrando la fede dell’ateo Dario Fo, monsignor Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e sponsor intellettuale di Bergoglio, ha ribadito il mantra che sta alla base della sua “ricerca teologica”: “Anche il credente, in un certo senso, è un povero ateo che si sforza ogni giorno di cominciare a credere”.
Non c’è neppure un briciolo di grandezza nelle notti di queste anime perdute che ogni mattina si ritrovano senza fede. Solo la felice leggerezza di chi si sente a suo agio senza un Dio a cui rivolgere una preghiera, un’invocazione, un gesto di sottomissione. Non c’è nemmeno traccia della tragedia dopo cui Lutero insorse all’alba contro il Crocifisso che continuava a chiedere la sua cooperazione per trarlo in salvo. E meno ancora si intravede il dramma dopo il quale l’Innominato risorse alla fede nelle braccia martoriate di Cristo compiendo la sua prima opera di vera misericordia, quell’opera di misericordia per cui Dio, come gli aveva rammentato Lucia, perdona tante cose.
“Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?”. O troverà il magistero maligno di questi pastori di anime morte? Troverà ancora qualche creatura inginocchiata a rinnovare e adorare il suo sacrificio sulla croce? O troverà i sommi sacerdoti intenti a sottoscrivere la dichiarazione congiunta della sua condanna all’oblìo, attorno al tavolino divenuto altare della nuova religione così come prima era divenuto altare della nuova messa?
“Custos, quid noctis?”, chiede Isaia. Sentinella, a che punto è la notte? Quanto buio è l’universo che ha voluto oscurare il sacrificio di Cristo per mano di chi dovrebbe farlo nuovo ogni giorno? Quanto ostile è un mondo dimentico dell’ammonimento che potrebbe reggersi anche senza sole, ma non senza la Santa Messa?
Questa, caro Bottino, è la notte in cui la Chiesa fondata da Cristo celebra e abbraccia il suo avversario più feroce e perverso, il sacerdote che rinnegò il suo sacerdozio, il religioso che scelse il secolo, il teologo che teorizzò la mortificazione del rito per rendere morte le opere ispirate dalla Grazia.
Perché questo è Lutero, il cui infernale destino è ben descritto da Jacques Maritain nei Tre riformatori: “Conveniva che il germe della rivoluzione anticristiana s’introducesse nel mondo da un uomo votato alla perfezione, consacrato a Dio, segnato per l’eternità dal carattere del sacerdozio e che avrebbe pervertito il Vangelo. Accipe potestatem sacrificandi pro vivis et mortuis. Ah! Troppo ben comprendiamo perché, il giorno dell’ordinazione, egli s’augurasse, a queste parole del Vescovo, che la terra lo inghiottisse, perché egli fosse preso da un tale orrore al principio del canone della Messa che se ne sarebbe fuggito dall’altare, se il maestro dei novizi non l’avesse trattenuto. Il cuore sanguinava, diceva, ogni volta che leggeva il canone della Messa…”.
Il nome di questa religiosità pervertita propagata da Lutero, nella quale la neochiesa di Bergoglio si adagia come cera nello stampo, è “secolarismo”. Il suo fine è la riduzione del Cielo alla terra, del Vangelo al mondo, dell’eternità al tempo. La sua essenza è la negazione del culto. La sua dottrina è la distruzione dell’uomo come essere liturgico, come homo adorans, e quindi come essere razionale.
Non a caso il cuore di Lutero sanguinava alla lettura del canone. Non poteva essere altrimenti, poiché è proprio nel prefazio che si trova la più ineludibile e precisa definizione dell’uomo, posta attraverso l’enunciazione del suo vero fine: “Vere dignum et justum est, aequum et salutáre, nos tibi semper et ubique grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnipotens: aetérne Deus”, è davvero cosa degna e giusta, conveniente e salutare che noi sempre e ovunque ti rendiamo grazie o Signore Santo, Padre onnipotente, eterno Dio.
Semper et ubique, sempre e ovunque, l’uomo deve adorare il Dio Uno e Trino: dunque è il culto, il vero culto, l’atto che lo costituisce pienamente come uomo nella dignità di figlio di Dio. Ma è proprio questo che Lutero, e i suoi emuli fino a Bergoglio e poi chissà quanto oltre, non poteva, non possono e non potranno accettare. Pur protestando pelosamente la propria incapacità di salvarsi, il sacerdote del sacerdozio dell’uomo si riteneva già salvato. Dunque, rifiutava ontologicamente la necessità di offrire le proprie opere a Dio, di renderle atto di culto associandole, semper et ubique, alla celebrazione del santo sacrificio.
Da qui discende il “pecca fortiter et crede firmius” che prefigura il marchese de Sade e profana la ragione. Essere razionale in quanto essere liturgico, se l’uomo rifiuta il culto finisce per depotenziare la ragione fino a farne l’ancella della follia. Allora la liturgia decade a estemporanea celebrazione dei sentimenti e la razionalità abdica in favore di un dialogare privo di senso e di princìpi. La vera liturgia, invece, in quanto legge, scienza e arte che comunicano, manifestano e compiono la fede della Chiesa nella Trinità, non può rinunciare alla ragione. Anzi, da questo particolare punto di vista, può anche essere definita come ragione santificata dall’adorazione di Dio Uno e Trino, purificata dall’umiliazione davanti al sovrabbondante e scandaloso mistero alla Croce, impreziosita dallo splendore della Resurrezione.
Ma, come in tutti i tragici fatti di cronaca nera, non c’è ragione nei tragici fatti di Lund. Non c’è, caro Bottino, perché la negazione del culto comporta la negazione della razionalità: è distruzione dell’uomo come immagine di Dio. Non a caso, il tragico rituale della “Dichiarazione congiunta” tra luterani e cattolici è stato celebrato in un ambiente così freddo da ricordare le “Case del commiato” pensate per oscurare Dio anche nel momento della morte: là dove, secondo i pastori della chiesa atea, l’uomo incontra il nulla.
Custos, quid noctis?
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo

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