Da 'La force du silence', intervista di Nicolas Diat al cardinale Robert Sarah
Nel testo viene ribadita la necessità della 'riforma della riforma' che sembrava tramontata. Oggi ne parla anche Sandro Magister [qui]. Sul tema, richiamiamo i precedenti [qui- qui - qui - qui], mentre stiamo traducendo dal'originale inglese il lungo testo dell'Intervento del Cardinale, a Londra, in apertura del convegno “Sacra Liturgia UK” 5-8 luglio 2016, che pubblicheremo al più presto. E dunque torneremo ancora sull'argomento per approfondire.
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D. Non è un po’ paradossale richiamare l’importanza del silenzio nella
liturgia, riconoscendo contemporaneamente che le liturgie orientali non
hanno momenti di silenzio e sono particolarmente belle, sacre, ricche di
un atmosfera orante?
R. Il suo commento è saggio e mostra che non è sufficiente prescrivere
momenti di silenzio perché la liturgia sia permeata da un sacro
silenzio. Il silenzio è un'attitudine dell'anima. Non è una pausa tra
due rituali, è esso stesso un rituale. Certamente i riti orientali non
prevedono tempi di silenzio nel corso della Divina Liturgia. Tuttavia,
essi sono fortemente caratterizzati da una dimensione apofatica della
preghiera di fronte a un Dio che è ineffabile, incomprensibile,
impercettibile. La Divina Liturgia è immersa nel mistero. Viene
celebrata dietro l'iconostasi, che per i cristiani orientali è il velo
che protegge il mistero. Per noi latini il silenzio è una iconostasi
sonora. Il silenzio è una forma di mistagogia, ci permette di entrare
nel mistero senza deflorarlo. Nella liturgia linguaggio dei misteri è
silenzioso: il silenzio non nasconde, ma rivela in profondità.
San Giovanni Paolo II ci insegna che «il mistero vela continuamente se
stesso, copre se stesso con il silenzio, per impedire che si costruisca
un idolo al posto di Dio». Oggi mi sento di dire che il rischio che i
cristiani divengano idolatri è grande. Prigionieri del rumore di un
parlare umano senza fine, non siamo lontani dal costruirci un culto a
nostra misura, un Dio a nostra immagine. Come il cardinale Daneels ha
rimarcato, «il principale difetto della liturgia occidentale oggi, per
come è celebrata concretamente, è di essere troppo parlata». Il padre
Faustino Nyombayré, sacerdote del Ruanda, dice che in Africa «la
superficialità non risparmia la liturgia o appuntamenti religiosi, dai
quali le persone tornano senza respiro, più che riposate e piene di ciò
che hanno celebrato, così da poter vivere e testimoniare meglio». Le
celebrazioni alle volte sono rumorose e defatiganti. La liturgia è
malata. Il simbolo più chiaro di questa malattia è l’onnipresenza del
microfono. È diventato così indispensabile che la gente sì chiede come
sia stato possibile celebrare prima della sua invenzione. by Il Timone
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